Categorie
Recensione

Il Mio Miglior Nemico

Recensione: Il Mio Miglior Nemico

Un contributo musicale intelligente ed emozionante, una scrittura fresca ma mai banale, una regia che si avvale di spunti di modernariato (Verdone che sotto l’egida del fanciullo d’oro Muccino, strizza l’occhio allo stile di Veronesi), fanno di questo film un bellissimo esempio di policroma opera italica, capace di sdoppiare, triplicare la prospettiva narrativa e di trama, mantendo alta tensione e curiosita’.    

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDAchille De Bellis è su per giù il solito personaggio alla Verdone, immandrillito con l’eta’, vive una vita di elemosine professionali da parte di tutta la ricca casta della frigida moglie, che lo inserisce nella blasonata struttura alberghiera di famiglia; “Ho passato tutta la vita a dimostrare cosa è in grado di fare il figlio di un portinaio”. Achille licenzia la madre (depressa e tossica) di Orfeo (Muccino jr), accusandola di furto. Orfeo si vendica sbandierando al mondo la relazione di Achille con Ramona, caliente nuora ispanica. Achille perde tutto, ma ritrova qualcosa che forse non sapeva nemmeno di aver smarrito: il suo ruolo di genitore.Il Mio Miglior Nemico riserva sorprese che non ti aspetti, allontanandosi nei risvolti di trama, dal pur (apparentemente) simile Manuale d’Amore, restituendo momenti drammatici sapientemente disseminati qua e la’ per tutto il film, e profilandosi come opera di una maturita’ più sottile, che non perde quell’eleganza sempre evidente nei film scritti dalla ruggente mano di Silvio Muccino. Gli stili di racconto sono proporzionati e funzionali alle tematiche inscenate: la storia d’amore viene narrata in maniera lineare, con l’esposizione chiara e intuitiva delle sue varire fasi: icontro, lei che se la tira, corteggiamento, follie da coppietta che sboccia, sesso e inizio del declino, che coincide col “conoscersi più a fondo”, col raccontarsi (Cecilia che rivela a Orfeo la sua vera vita a Londra.)Il legame d’amiczia che sopraggiunge fra i due uomini (Orfeo e Achille) viene espresso e raffigurato attraverso sequenze di bravate e avventure rocambolesche. Il cammino esistenziale e di cambiamento assume i contorni dello schema del viaggio: il tragitto geografico e umano che portera’ le due vite incrociatesi nell’astio (Orfeo e Achille), a raggiungere un’unica meta ideale (Cecilia, figlia e compagna). Entrambi i protagonisti compiono un simbolico rito di passaggio emotivo e profondo, che si metaforizza nella ricerca e nel viaggio, fisico e figurato. Il rapporto fra i due “one man show” (Verdone e Muccino), brilla di un’alchimia che va oltre il comico e non ha bisogno di grassose gag ridanciane per imporsi. I momenti grotteschi sono ridotti all’osso, e le scene scritte si avvalgono di sfumature dialogate più impercettibili e realistiche, sicché chi si aspetta due compagnoni che fanno i buffoni scherzando gradassi e oltremisura su abissi generazionali, rimarra’ colpito dall’iinteligenza e dalla qualita’ della recitazione e dei contenuti espressi. Il film è ritmato in maniera verace e saporita, il baricentro della narrazione si sposta continuamente con la leggiadria di un pugile ballerino che distribuisce colpi azzeccati e meditati.

La storia d’amore pubescente lascia spazio al conflitto genitoriale madre figlio (irrisolvibile), che a sua volta confluisce nella guerra sentimentale fra adulti (la mamma di Orfeo e il suo compagno sballato, Achille e sua moglie Gigliola), che ancora si prolunghera’ in un rapporto equivocato fra padre e figlia (Cecilia e Achille), unico tassello riassestabile in un universo di individualita’ sole e inarrivabili, abbarbicate in roccaforti di egoismo inespugnabili (la mamma di Orfeo, la mamma di Cecilia), nemmeno dall’amore di un figlio. Le recitazioni più superbe appartengono alle due donne “impossibili” del film: Agnese Nano (Gigliola), femmina granitica e urlatrice uterina, e Sara Bertelà (Annarita), signora infantile, depressa e fragilissima. Annarita è di quelle donne che ti istillano un senso di impotenza cronico e logorante, che spezzano il cuore di un figlio che non si sentira’ mai importante abbastanza  (perché non lo è), mai utile abbastanza, soprattutto di fronte all’ultimo amorazzo di turno (di solito l’ultimo scapestrato di turno). E sara’ proprio l’assurdita’ di questa donna il motore dell’agire di Orfeo, figlio amoroso che cerca di risollevare l’autostima sfracellata della genitrice degenera, e lo fa errando, prima, allontanandosene e riuscendo, poi.

Una menzione per il grande compositore Paolo Buonvino (un po’ il James Horner italiano), espertissimo e ispiratissimo creatore di tante importanti partiture (Ecco fatto, Come te nessuno mai, L’ultimo bacio, Ricordati di me, ma anche Piazza delle cinque lune, La piovra 8, La piovra 9, Padre Pio, Paolo Borsellino, Enzo Ferrari), anche qui segna il passo della narrazione e guida con disciplina e sapienza le emozioni dello spettatore, significando in musica i momenti più drammatici ed emozionanti del film.  Il Mio Miglior nemico: Bell’esempio di cinema italiano e di film che non è esattamante come appare.La Frase: “Ma che m’hai restituito una macchina?
Apri il cofano: dentro non c’ è un motore, c’ è una scultura futurista!!” Carlo Verdone, Il Mio Miglior Nemico, 2006

Nota: di Roberta Monno
Il Mio Miglior Nemico

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *