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L'Ultimo Match Point

Recensione: L’Ultimo Match Point

Esiste una frase, la quale ricorre spesso quando si analizza l’opera di un autore, sia esso un drammaturgo, un musicista, un pittore, un regista. Essa recita più o meno cosi: l’artista ripropone sempre la medesima opera.  Non ricordo l’autore di questa frase, ma forte è il suo valore evocativo, vengono subito in mente le innumerevoli sfaccettature che un tal concetto è in grado di sussumere in sé come corrispettive di altrettanti livelli di comprensione/compenetrazione. Vien da pensarla vera ed oggettiva a molti livelli, rimanendo nel cinema se si pensa ad un Kubrick essa ci parlerà delle sue ossessioni per lo sguardo, verremo catapultati nel mondo oculare generatore della coscienza della conoscenza; eppure formalmente Kubrick è uno fra gli autori più eclettici e meno etichettabili che siano esistiti.

Ma vien da pensare anche al nostro Fellini, e qui l’espressione pur rimanendo vera acquista una dimensione di significanza nettamente differente rispetto al suo precedente riferimento. Tra la sfilza di autori, autoretti ed autoracci ai quali poter accorpare una tale cangiante espressione può capitare di imbattersi nel nome di WoodyAllen. Il tema della fede, dell’esistenza di Dio, della morte, del significato ultimo dell’esistenza, insomma i temi esistenziali affrontati in un ottica esistenzialista rappresentano il perno della riflessione Alleniana, costruita di certo su di un linguaggio che si chiama psicanalisi. A variare, e per dir la verità solo sporadicamente, è il tono della riflessione e non il suo oggetto (l’umana condizione) né lo sguardo su tale oggetto, il punto di vista. Cosi nelle poche incursioni Alleniane in forme narrative (il genere) differenti dalla sua prediletta forma-commedia(la quale corrisponde al compromesso”storico”, per bocca dello stesso Allen, tra la sua vena e le esigenze del mercato) viene espressamente fuori l’idea estetica del cineasta di Manatthan; se la commedia viene utilizzata come una sorta di diario di bordo sulla quale appiccicare paure, scacchi, inquietudini di una esistenza sempre posta al di là della propria possibilità percettiva, di un’esperienza di sé e dell’altro piena, vera, sempre posta al di là delle proprie possibilità e della propria condizione(addirittura dell’uomo in quanto tale, essere finito) il triller diviene la sublimazione estetica(la catarsi senza purificazione) di una tale visione. È come se si passasse da un processo di analisi, tipico delle sue commedie, ad uno di sintesi, in cui queste visione dell’autore cercano conforto e giustificazione non attraverso una pura speculazione intellettuale, ma bensi attraverso una formalizzazione estetica delle stesse(vedi il rimando a Delitto e Castigo e relativo sviluppo del concetto di colpa). Match Point: ovvero della trasposizione del problemaAllen non compare tra gli attori, questa è la prima quasi novità del film (quasi perché in passato qualche altra volta è già successo), ci sono però i suoi personaggi, questa volta personaggi veri, non abbozzati, e ci sono ovviamente degli attori, i quali incarnano a turno tutte quelle idiosincrasie e smanie che per anni hanno contraddistinto la(il) persona(ggio) Allen. Il tennis come nuovo campo (esistenziale) da gioco su cui misurare il dilemma di una vita, il dramma dell’esistenza stessa, dove arriva il talento e dove arriva la fortuna, e chi tra esse gioca il ruolo più importante e decisivo. Dalla risposta a questa domanda dipende la stessa possibilità della fede, della creazione di un mondo come di un campo d’azione nel quale poter esistere in maniera sensata e sensibile. La cronaca del film è l’incontro tra Cris, ex giocatore di tennis, un giovane rampollo di famiglia che decide di prendere qualche lezione di tennis, la ragazza di quest’ultimo, Nola, attorno alla quale tutta la vicenda volgerà, e Cloe la sorella del giovane che sposerà Cris e che rappresenterà il contraltare di Nola anche come archetipo femminile nell’immaginario dell’autore stesso. Quando si entra nell’immaginario Alleniano sappiamo già che si entra in un mondo in cui è il caso a dominare, un caso senza finalità né disegni più grandi, senza senso né profondità, cosi quando Cris in una sequenza al ristorante dice che … si viene al mondo per caso …. E che non c’è nessun disegno ultimo nella vita … nessuno scopo ….. Sappiamo che è l’autore stesso a parlare, ed a parlare delle sue più profonde convinzioni le quali sono ree di tutte le paure ed ossessioni che riconosciamo, e qualche volta imputiamo allo stesso, ciò che qui Cris afferma rimanda direttamente alla speculazione filosofica su cui si apre un film come Manhattan: il talento è fortuna, è il coraggio la cosa importante.. se nel mondo non vi è il minimo senso trascendente, se è tutta una questione di meccanicismo funzionale, il talento si identificherà con l’accidente fortunoso, del tutto destituito di una qualunque responsabilità rispetto all’uso che se ne fa, ed è dunque la fortuna a legiferare.È interessante notare come la metafora tennistica attecchendo in maniera osmotica alla riflessione esistenziale che il film sviluppa finisce per determinare anche il linguaggio cinematografico del film nel suo senso più pragmatico (mi riferisco in senso stretto all’uso della macchina da presa nei suoi movimenti più elementari e basici, dalle carrellate alle panoramiche) riuscendo anche a spiegare la realtà dei rapporti, si pensi a come viene inquadrato il primo incontro di Cris con Nola prima e con Cloe poi, ambedue calati in una situazione di gioco. Infatti Cris incontra Cloe al campo da gioco dove si offre di dare lezioni di tennis anche a lei oltreché al fratello, il dialogo che ne segue vede i due l’uno di fronte all’altro in posizione neutrale rispetto allo spettatore; la tensioneenergetica che si instaura con Nola da subito si manifesta in un fugace Match Point a ping-pong, ed il dialogo che ne seguirà sarà un campo-controcampo. Con Cloe Cris non si mette in gioco, tra i due non vi è tensione, la natura del loro rapporto non va ricercata nella passione amorosa ma forse, nella com-passione per il genere umano, per la sua condizione di solitudine e finitezza che si sopporta meglio se non si è da soli; Nola rappresenta proprio quel fuoco, quella passione, che l’uomo Alleniano per le convinzioni nelle quali si barrica non può afferrare pienamente, non può gustare a pancia piena, il campo-controcampo ci restituisce la loro specularità. Nola rappresenta l’alter-ego di Cris (ed in maniera involontaria e come effetto esuberante dello stesso Allen) nel momento in cui il suo perseverare nella volontà miope di voler fare l’attrice si contrappone alla scelta di Cris di smettere di giocare perché dice, … aun certo punto ci si deve rendere conto dei propri limiti …(cosi come fa lo stesso Allen nel momento in cui rinuncia al proprio corpo attoriale). La scoperta dell’assenza di una giustizia sociale universale e vera, capace di poter rendere conto seppur in maniera parziale ed irrisolta, dell’esistenza umana, porta ad un annichilimento della coscienza che mette ampiamente in crisi la possibilità di una fede. Cosi Cris dopo aver ucciso Nola porta il film su riflessioni che in ultima analisi rimandano proprio al concetto di fede, ed alla sua impossibilità nel momento in cui ad un delitto non corrisponde un castigo, una riflessone del genere la si incontra già in un film dello stesso Allen targato 1989, Crimini e Misfatti, e cosi come in questo anche in Match Point è l’amarezza il sentimento dominante, dovuta alla sensazione di impotenza che si ha di fronte ai fenomeni del mondo dei quali siamo vittime seppur autori. Cosi nella visione finale che Cris ha di Nola e della vecchia uccisa egli, alle accuse delle due donne risponde con un’ammissione di colpa alla quale dovrebbe seguire certo un castigo, sarebbe un segno del fatto che c’è uno scopo, un fine ultimo, ma cosi non sarà, dopouna tale considerazione c’è posto solo per il nichilismo. Ogni film sviluppa poi un particolare discorso sul cinema, sia esso evidente o anche solo latente, sappiamo che Allen si è spesso mosso su entrambi i fronti, Match Point in particolare però sviluppa un discorso metalinguistico esclusivamente in maniera latente rispetto al racconto che appare sulle immagini. Il film analizza il ruolo del suo autore all’interno dell’industria cinematografica rispetto alla sua stessa poetica, ed alla incongruenza che ne risulta, procedendo a questo modo Nola rappresenta la natura della poetica Alleniana mentre Cloe, ricca borghese, è l’industria del cinema cosi l’adattamento che Cris deve compiere per entrare in famiglia sottomettendosi alle leggi che la compongono può valere come specchio di un Allen che piega la propria poetica alle esigenze dell’industria (è una stranota espressione dello stesso Allen quella che la sua vera vena era più drammatica).Nola rappresenta il puro cinema Alleniano che più spesso è statofiltrato ed alleggerito dallo stesso, Nola è il vagabondare che si muove d’istinto, è lo scacco, l’imprevisto, l’imprevedibile, mentre Cloe, in maniera specularmente opposta rappresenta l’agiatezza economica, la linearità, il prestigio ed il riconoscimento sociale. Eppure forse a settanta anni non è tardi per osare, di sicuro Allen non lo fa qui, anche se ci pensa, potremmo forse, con un certo margine di sicurezza affermare che difficilmente lo farà in futuro, ma forse questo non è solo un male…

Nota: di Marco Perri
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