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Sicko

Recensione: Sicko

Si può fare del sarcasmo sui film di Moore, si possono considerare almeno un po’ radical e tanto chic. Si può obiettare che il suo sia un filtro politicamente orientato e che i suoi montaggi siano smaccatamente ideologici.
Ma non si può negare, signori miei, che se le cose vanno così, in America, non è perché Moore le filma, o perché Moore ama la Francia, o perché Moore odia Bush. In America le cose vanno così che Moore esista o no.

SCHEDA TECNICA

SCHEDA DVDPensate a un film come “Qualcosa di personale“, fresca e leggerissima commedia dove, parte della narrazione si srotola attorno alla malattia del figlio di Helen Hunt, moribondo incurabile, finché non arrivano i contributi monetari di Jack Nicholson che ne garantiscono pronta e repentina guarigione: il bimbo non era tanto malato, era solo molto povero. O Quante volte abbiamo sentito in un film o in un telefilm questa frase: ” L’assicurazione non copre questo genere di interventi“… E non c’è sempre Moore dietro la macchina da presa. Sicko è senz’altro una denuncia più diffusa sul male più grave, più cancerogeno  e più corrosivo: l’immoralita’ dilagante che devasta il sistema, americano in primis. E se avere voglia di filmare un po’ di immondizia significa essere antiamericano mi chiedo chi sia il nazionalista più convinto: quello che tace chiudendo gli occhi  cantando l’inno a squarciagola, o chi si indigna sperando in qualcosa di meglio per il proprio Paese.
La domanda (fra tante) che Moore si pone è semplice: se in America abbiamo i pompieri, il servizio postale e le biblioteche statali l(quindi gratuite), e questo non ci rende comunisti statalisti, e non apre squarci alla dittatura di regime (?
!), perché anche la sanita’ non può essere pubblica?
Perché proprio la sanita’ pubblica dovrebbe costituire un pericolo per la nostra liberta’?

Faccamo un passo indietro per chi non capisse di cosa parlo: il film do*****enta (in modo come sempre ironico divertente e irriverente), la contropropaganda svolta negli USA atta a convincere il cittadino che la sanita’ pubblica e gratuita sarebbe l’anticamera dei Soviet, un passo verso il Comunismo, verso la perdita irrimediabile della liberta’. Lo stesso Reagan recitava queste istruzioni per la sopravvivenza dell’american style in un disco di vinile che veniva distribuito nelle case degli americani. Difendete la sanita’ privata, o vi esproprieranno di ogni bene.
Moore (che parla al suo popolo come si fa ad un bimbo piccolo) inizia un viaggio in Canada (il suo amato Canada, il sistema perfetto, la panacea ad ogni male), vola in Inghilterra, in Francia, e scopre (o fa scoprire), un mondo di medici che non si pagano, di farmaci che costano sempre sei sterline, dottori che prestano servizio a domicilio, ma anche tate pagate dal comune, e universita’ che non costano centomila dollari, ma sono pressoché gratuite.
Scopre che esistono governi (o sistemi) non strutturati in modo da tenere il cittadino indebitato a vita, schiavo di uno stile di vita che non potra’ mai permettersi, perché i beni di prima necessita’ (sanita’ e istruzione) sono fuori portata.
Scopre (e vuole far vedere) che un medico che “lavora per lo stato”, quindi in un ospedale pubblico e che viene stipendiato dal governo, vive in una casa da un milione di dollari, è ricco e se la spassa alla grande senza mandare la moglie a “raccogliere il grano”, citando i filmati di propaganda rossa che evidentemente gli americani hanno molto negli occhi, e che necessitano, oggi nel 2007, di essere smentiti e disattesi.
Il Comunismo non c’è in Europa.
Anche se paghiamo le medicine sei sterline anziché cento dollari. Il colpo di grazia arriva quando la classe politica statunitense viene sbugiardata e messa alla berlina attraverso le storie di tre “eroi” dell’undici settembre (pompieri e paramedici in quel momento non in servizio): dopo aver inalato polveri – probabilmente tossiche – per giorni e giorni, soccorendo i feriti sotto le macerie di ground zero, sono stati abbandonati a se stessi. Per loro niente cure, nessun riconoscimento, nè sovvenzione: malati e soli, macchiati della colpa più grave, ovver aver fatto volontariato verso i propri concittadini (infatti se fossero stati in servizio sarebbero stati “infortunati sul lavoro”).
Michael tenta l’impossibile: carica su una barchetta tutti i malati che hanno partecipato al film, e si dirige in prima istanza a Quantanamo, dove pare che i terroristi godano di un’assistenza sanitaria di prim’ordine, e poi a Cuba, regno di Mefistofele in persona.
Qui, le persone di cui abbiamo condiviso le storie nell’arco di due ore di film vengono curate gratis. Una donna scopre che i suoi inalatori da più di cento dollari costano sull’isola 5 centesimi e noi, sbalorditi, piangiamo insieme a lei quel che più brucia e ferisce: l’insulto, l’umiliazione, la beffa. L’offesa di essere spremuti come limoni da chi dovrebbe sostenerti, garantirti quel minimo che basta per sentirsi esseri umani in un mondo civilizzato.
Dal punto di vista cinematografico Moore resta fedele a se stesso: montaggio divertente con alternanza di filmati “alla blob” che hanno letteralmente lo scopo di illustrare in modo didattico quanto si dice (ve l’ho detto: lui parla ai suoi come a dei bimbi piccoli), musiche allegre e scanzonate fanno da contrappunto a immagini di dolore, in un prorompente effetto alla “qua non c’è un cazzo da ridere“.
Bellissimo colpo da maestro il far correre sullo schermo l’elenco delle centinaia di malattie che, se avute nell’arco di una vita, ti rendono non idoneo ad ottenere un’assicurazione (ne meziono una su tutte: l’angina!). Il tutto condito dall’improbabibe musichetta strafottente di Star Wars.
Il ritmo è sostenuto, non ci si annoia un secondo e tutta la confezione è perfettamente imbastita.
Moore si guarda (questa volta) dal prestare il fianco a critiche di “democraticismo scomposto ” e spara a zero anche sulla Clinton, dandole, in buona sostanza, della venduta.
Si potrebbe certo obiettare che il panzuto esterofilo descriva l’Europa – in particolare la Francia- come un paradiso perduto di civilta’ e solidarieta’, e che alzi un po’ troppo il tiro sfiorando l’agiografia geopolitica. In effetti ogni tanto anche a me è venuto da sbottare in un “See ma non va mica tutto così a gonfie vele…” poi però ho pensato a quando mia zia si è operata per due ictus, ha passato due settimane in coma, mesi in ospedale, riabilitazione, e non ha uscito di tasca un euro.
Ho pensato che faccio un lavoro che mi mette a contatto con famiglie disagiate che godono di servizi (ottimi) di assistenza psichiatrica, pedagogica, educativa e psicologica totalmente finanziati dal comune e dalle Asl. E ho pensato che da noi tante cose non vanno (e tante le diamo per scontate perché sono – giustamente – diritti che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione, come il voto alle donne, si dice nel film), ma quantomeno, se avrò la disgrazia di finire in un pronto soccorso, non subirò il trauma e l’umiliazione di non potermi permettere una lastra, una tac o un elettrocardiogramma.
E sarebbe un gran peccato, oltre che uno spreco di opportunita’ in termini di dialogo e riflessione, se l’unica cosa a fare clamore in questo film fosse la battuta di Moore anti americana (!!) e filofrancese (?
): “Inizia a piacermi il Can Can“.
Sarebbe un vero peccato.Sicko: Bellissma inchiesta da guardare senza troppi pregiudizi. Per chi ce la fa.La Frase: “Amavano tutti le loro madri; sol
o che non amavano le nostre allo stesso modo”. Michael Moore, Sicko, 2007

Nota: di Roberta Monno
Sicko

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